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RIFUGIO DON GUANELLA

Il Rifugio dell’Opera don Guanella nasce come struttura e luogo di ricovero pomeridiano per senza tetto.
Ad un visitatore superficiale  il primo impatto può risultare traumatico: all’ingresso alcuni volontari distribuiscono the e biscotti; al tavolo di lavoro si infilano perline per braccialetti e collane; ai tavolini c’è chi gioca a scacchi o a dama; in fondo all’aula si fa scuola di italiano. A questo si aggiunge il gruppo dei ragazzi che devono fare la doccia e la barba.
Il silenzio e la tranquillità sono un’utopia.
In realtà questa struttura è estremamente funzionale: infatti accoglie tutti.
Sono frequentatori abituali, ragazzi provenienti da tutto il mondo: Asia (Pakistan, Afganistan e Bangla Desh), Africa (Marocco, Algeria, Sudan, Nigeria, Ghana, Costa d’Avorio, Guinea, Ciad) e Italia (persone che hanno perso il lavoro e  la casa).

L’aspetto più interessante è che non si limita ad una mera e calda accoglienza, ma cerca l’integrazione, che è la chiave per contenere l’emarginazione, lo sfruttamento e l’illegalità con l’insegnamento della lingua italiana, presupposto indispensabile per qualunque altra attività, con la conoscenza delle regole sociali, con l’aiuto alla sopravvivenza, con la ricerca di un lavoro, dove è possibile (purtroppo raramente).

La regola essenziale da cui si parte è quella di mettersi in empatia con tutti. Ogni ospite ha una storia da raccontare e cerca qualcuno che abbia voglia  e tempo di ascoltarlo.
Inizialmente i volontari raccolgono racconti di viaggi allucinanti di sfruttamento e talvolta di vere e proprie torture per raggiungere un paese in cui sia possibile una vita dignitosa. Poi, quando nasce un rapporto di fiducia, i racconti diventano nostalgici, intimi: si apprendono usi e costumi diversi, riti e feste sconosciuti, superstizioni, miti e religioni antiche.
In tutti gli ospiti emerge l’amore per la famiglia di origine o per quella con mogli e figli che, nella maggior parte dei casi, nascono da genitori adolescenti e vengono abbandonati perché la guerra, le persecuzioni, le condizioni economiche, la carestia spingono gli uomini ad emigrare.
Il rapporto tra volontari e ospiti porta ad un arricchimento reciproco: si impara ad essere tolleranti, ad accettare le diversità, a non temere gli immigrati, a sfatare i tanti pregiudizi, a conoscere con obiettività realtà e culture diverse.

Il rifugio diventa, così, un luogo in cui si respira voglia di imparare, di essere solidali, di integrarsi pacificamente e di trovare spazio per tutti, bianchi e neri, in armonia di intenti.

 

TETTO DELLA CARITÀ

Il “Tetto della Carità”, è un Centro di accoglienza per persone senza dimora. Esso non offre solo un pasto caldo da mangiare e un letto pulito per dormire, ma offre anche un progetto di recupero condiviso, che riguarda tutte le dimensioni della persona, in modo che essa sia restituita alla propria dignità in tutti i suoi aspetti.

Il “Tetto della Carità” accoglie uomini senza dimora, disponibili ad un percorso su progetto personalizzato, dai 40 ai 75 anni.

Sono persone in stato di emarginazione grave che vivono un disagio sociale legato a fattori multiproblematici quali:

 – dipendenza da alcol;

 – dipendenza da gioco;

 – perdita del lavoro;

 – separazione;

 – perdita della casa,

 – fragilità legate a limiti  personali, psicologici, intellettuali, relazionali ecc.;

 – persone senza dimora già avanzate in età, ma ancora autonome, e senza alcuna prospettiva di un inserimento lavorativo.