Maria, pellegrina di speranza

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CARISSIMI AMICI E FEDELI DEL SANTUARIO DEL SACRO CUORE

Siamo a maggio, mese dedicato a Maria. Ce lo ricordano roseti, che non risparmiano di mostrarci tutta la varietà dei colori delle rose. Ne sono testimonianza tutte le feste mariane di questo mese: la Madonna di Pompei (l’8 maggio), la Madonna di Fatima (il 13), Maria Ausiliatrice (il 24), la Visitazione (il 31). Il Santo Rosario diventa impegno giornaliero anche per coloro che non lo recitano con regolarità.

Don Guanella ci esorta a pregare il Santo Rosario e a rivolgerci alla Madonna come un figlio alla mamma: «Somigliante deve essere il pensiero e l’affetto nostro a Maria. Di questa madre e vergine incomparabile imitiamo le doti di divino privilegio, consideriamo le virtù che l’hanno sublimata tant’alto. Ma sovrattutto consideriamo l’immenso affetto che ella ci porta, nonché i benefici innumerabili che ci arreca». È l’amore che la «rende in eterno beata» (Nel mese dei fiori). «D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata», canta Maria. Cosa significa chiamare beata Maria, l’umile vergine? Non significa altro che essere pieni di ammirazione e adorare la meraviglia che Dio ha operato in lei, leggere in lei che Dio guarda all’umiltà e la innalza, che la venuta di Dio in questo mondo non cerca le altezze ma le profondità, che la gloria di Dio consiste nel rendere grande ciò che è piccolo. Chiamare beata Maria significa, insieme a lei, meditare con ammirazione sulle vie di Dio, che lascia soffiare il suo Spirito dove vuole, obbedirgli e dire umilmente con Maria: «Come hai detto, così sia» (Dietrich Bonhoeffer).

Quando gli ebrei celebravano l’anno giubilare ogni cinquantesimo anno, si supponeva che gli schiavi venissero liberati e le terre alienate a causa dei debiti venissero restituite al proprietario originario. L’idea era quella di consentire un inizio radicalmente nuovo, nel rispetto dei diritti e della dignità umana. Era un tentativo di realizzare una distribuzione più equa dei beni all’interno del popolo di Dio. L’Anno Santo che stiamo vivendo trae ispirazione dall’Anno Giubilare ebraico. Per noi, quindi, l’anno giubilare è l’occasione di un nuovo inizio da compiere, come singoli e come comunità. È una opportunità che ci viene offerta per ripartire e ristabilire un equilibrio con la natura, con le persone e con Dio. Se non abbiamo ancora avuto occasione di vivere il Giubileo facciamolo con Maria. Incamminiamoci con Maria, pellegrina di speranza, e ripartiamo per una nuova riconciliazione.

don Nico Rutigliano, rettore