Cristo, nostra speranza, è risorto: questo gioioso annuncio ci deve rendere consapevoli che il peccato è stato sconfitto, il male ha perso il suo potere, l’amore divino ha vinto.
In questo Anno Giubilare siamo chiamati a rimettere al centro della nostra vita la speranza che non delude, quella che nasce dalla certezza che l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori (Rm 5,5). La speranza cristiana va oltre l’ottimismo perché non si fonda sul fragile auspicio: “andrà tutto bene!” Essa nasce piuttosto dalla memoria di ciò che Dio ha compiuto in noi, a cominciare dalla certezza che Egli ci ama per primo, è continuamente all’opera attraverso di noi, agisce dentro le nostre vite, nonostante la nostra debole umanità e gli ostacoli che spesso si insinuano.
Siamo amati, siamo perdonati, quindi rinasciamo a vita nuova. Il centro del cristianesimo consiste in ciò che Dio fa per noi, con il suo amore gratuito, e non ciò che noi facciamo per Lui.
Alla luce di queste certezze, la speranza cristiana diventa un obbligo, essa non può venire meno, fino a credere che per Dio anche l’impossibile può divenire possibile: “Nulla è impossibile a Dio”(cfr. Lc 1,37).
Impariamo a riconoscere i numerosi “segni di speranza” che giacciono attorno a noi, così da apprezzare innanzitutto i germogli di bene che intravvediamo sul terreno nel quale viviamo e
lavoriamo, con la stessa speranza abitata dal contadino. Mentre in un campo di aride zolle, infatti, l’occhio comune non percepisce nulla, lo sguardo dell’agricoltore riesce a intravvedere i germogli che tra poco nasceranno e non dubita che a suo tempo verranno i frutti. Il piccolo seme di bontà diventerà un albero rigoglioso, così che nulla delle energie che spendiamo si consumano invano. Sapremo così distinguere i pluriformi segni di bellezza che giacciono attorno a noi, nelle nostre famiglie, nelle nostre Comunità e nel mondo intero.
Oggi più che mai, soprattutto in un ambiente umano come il nostro, lacerato da guerre e discordie, sentiamo forte il bisogno di ritrovare un senso profondo per la nostra esistenza. Siamo pellegrini sulle strade del mondo, affamati di verità e desiderosi di risposte alle domande che le varie situazioni di vita pongono alla mente e al cuore. Ed è proprio il grande annuncio di Pasqua a rovesciare le pietre che ci tengono prigionieri nei sepolcri delle nostre cattive abitudini, dei nostri peccati, delle nostre solitudini e di tutto ciò che ci allontana da Dio e rende difficile metterci in relazione con i nostri fratelli.
Cristo, nostra speranza, è risorto, le porte della Santissima Trinità misericordia si sono spalancate sul mondo intero ed attendono di poter ridonare vita agli smarriti, forza agli sfiduciati, conforto ai sofferenti. La Pasqua è il passaggio di Cristo dalla morte alla vita, passiamo quindi dal peccato alla vita nuova, dal rancore al perdono, dalla disperazione alla consolazione. A tutti auguro di poter sperimentare la presenza viva del Signore Gesù datore di ogni dono, la cui vicinanza fa ardere il cuore e ridona forza e coraggio. Nessuno rinunci alla speranza che Cristo ci ha promesso!

Buona Pasqua a tutti!

Oscar card. Cantoni

• Relazione a cura di don Simone Piani, direttore dell’Ufficio per la Liturgia della Diocesi di Como
• Relazione finale a cura di padre Domenico Fidanza, responsabile del Servizio per le persone con disabilità della Diocesi di Brescia
«L’obiettivo – dice don Francesco Vanotti, direttore dell’Ufficio catechesi diocesano – è quello di non concentrarsi esclusivamente sulla catechesi, e quindi sulla dimensione dell’annuncio per le persone con disabilità, ma di assumere uno sguardo pastorale più ampio, comunitario. La riflessione che anima questo tavolo nasce dai vari ambiti pastorali rappresentati nei diversi uffici e considera la persona con disabilità come un soggetto che interessa tutti gli aspetti della pastorale. Si passa così da una pastorale settoriale a una pastorale integrale. L’obiettivo è prenderci cura della persona con disabilità nelle sue molteplici dimensioni: dall’annuncio alla cura all’interno della famiglia, dalle problematiche legate alla socialità all’insegnamento della religione cattolica, fino alla dimensione celebrativa».
La scelta del tema liturgico è suggerita dalla consapevolezza che la liturgia è la prima soglia di accesso alla vita comunitaria per le persone con disabilità. Una persona con disabilità può più facilmente partecipare a una celebrazione liturgica piuttosto che a un percorso di catechesi. La liturgia rappresenta un’opportunità per il primo annuncio della fede. «Abbiamo scelto di affrontare questa tematica anche perché crediamo che le nostre comunità siano chiamate a essere sempre più inclusive, superando le barriere liturgiche che possono ostacolare la partecipazione delle persone con disabilità».
«Alcune attenzioni pratiche possono essere adottate immediatamente nelle comunità cristiane. Ad esempio: la traduzione in LIS (Lingua dei Segni Italiana) durante le celebrazioni; l’uso di strumenti tattili e simboli per non vedenti; la realizzazione di preghiere gestuali e canti che coinvolgano il linguaggio del corpo; l’impiego di immagini, pittogrammi e gestualità simboliche».
All’inizio, entrando nel Seminario vescovile, ci si imbatte in un percorso sensoriale che ti fa fare una esperienza pratica dei cinque sensi: in ogni stanza hai la possibilità di evocare, attraverso il suono, il tatto, gli odori, i sapori e le immagini visive, pensieri ed esperienze del passato. Su un quadernetto fornito al momento della registrazione, all’ingresso, puoi annotare l’esperienza sensoriale che stati facendo.
Il Convegno poi si apre con delle testimonianze: Massimo, lettore del MAC; due ragazze di Bormio che cantano nel coro parrocchiale; una catechista che prepara alla prima comunione una persona con disabilità cognitiva. La collaborazione con gli altri è fondamentale: il gruppo e la comunità parrocchiale. Una giovane coppia di Maccio racconta l’esperienza della prima figlia con la trisomia 21. Anche in questo caso la comunità parrocchiale è molto accogliente e partecipativa. Il loro approccio è improntato sulla “normalità” perché “la disabilità non può essere un handicap” (Stephen Hawking).
Tra i suggerimenti proposti si ricordano qui: “bisogna sforzarsi di fare con loro e non fare per loro”; “è necessario abbattere la barriera della diffidenza e del pregiudizio”; “rendere le strutture accessibili e i cuori accoglienti”.
L’intervento formativo è stato tenuto da don Simone Piani, il quale ha indicato un percorso per aiutare i partecipanti al convegno ad assumere una visione accogliente e inclusiva. Non esiste una liturgia che non si fonda su una ecclesiologia. Dimmi come celebri e ti dirò che idea hai di chiesa. Il Concilio Vaticano II ci ha indicato tre pilastri su cui fondare la nostra celebrazione liturgica: la liturgia a servizio della vita, la liturgia che non esaurisce l’azione della Chiesa e la liturgia che è fonte e culmine della vita stessa della Chiesa (vedi costituzione dogmatica sulla liturgia, Sacrosantum Concilium). Cosa fare per vivere pienamente la liturgia? Qui don Simone ha introdotto il concetto di “partecipazione attiva” che non vuol dire che ciascuno deve fare qualcosa. Si tratta di vivere la verità del fatto celebrativo. Vuol dire che ogni gesto che si fa durante la liturgia deve essere vero e non finzione. Non si tratta di operare un adattamento liturgico, né un accomodamento. Soprattutto i preti devono chiedersi qual è la qualità della mia azione liturgica? Certo, la liturgia, poi non la fa solo il sacerdote ma tutto il popolo di Dio che partecipa alla celebrazione. La via da percorrere allora è quella di “riappropriarsi dell’atto liturgico” come scriveva Romano Guardini. Dobbiamo superare la barriera dell’intellettualismo (devi capire tutto quello che avviene nella liturgia), della freddezza (quella ritualità, cioè, che non ti fa sentire a casa, che non ti accoglie), della bruttezza (una liturgia sciatta e disordinata).

A Como, venerdì 14 febbraio, alle 21.00, al Centro Cardinal Ferrari di viale Cesare Battisti 8, ha parlato Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio nazionale per le Comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana. La serata aveva come titolo “Gridatelo dai tetti – Il Vangelo nel cammino della Chiesa sinodale”. L’incontro è stato promosso dall’Ufficio diocesano comunicazioni sociali, dal Settimanale della Diocesi di Como, dall’Ased (Associazione Amici del Settimanale della diocesi) e dalla Consulta diocesana delle Aggregazioni Laicali (Cdal). Si è trattato di un argomento di grande interesse, perché tutti, in quanto Chiesa, sono inseriti in uno stile di sinodalità. Al tempo stesso si è voluto sottolineare l’importanza del comunicare bene, a tutti i livelli, in un contesto, quello attuale, dove le informazioni viaggiano sempre più velocemente e nel quale, quotidianamente, ci si confronta con le risorse e le criticità dell’Intelligenza Artificiale.