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Uno degli aspetti indicativi della vitalità della nostra Chiesa diocesana è l’attenzione alla dimensione missionaria.
Siamo chiesa in uscita anche sotto questo profilo. Negli anni passati i nostri preti ed i nostri laici erano presenti in Cameroun. Oggi siamo attivi nella attività pastorale in Perù ed in Mozambico. Per la nostra Diocesi questo servizio è un impegno rilevante per il dono delle persone, per le risorse profuse, per la molteplicità degli impegni richiesti.
Infatti l’invio dei Fidei donum (sono così chiamati gli inviati da una Diocesi per collaborare con un’altra Diocesi in terra di missione) richiede da parte delle persone una seria preparazione innanzitutto spirituale, ma anche una conoscenza della cultura del popolo presso cui si lavora; un adeguato inserimento nel nuovo contesto pastorale; la frequentazione di corsi preparatori all’esperienza comprensivi di studio della lingua; la conoscenza e l’osservanza di tutte le normative per l’inserimento in un nuovo Stato… Insomma l’invio di un missionario è fatto con serietà sotto tanti profili.
Infine non bisogna dimenticare anche l’impegno economico per la nostra Diocesi per sostenere le attività pastorali presso questi popoli poveri.
L’impegno di questi Fidei donum è di profitto per le Chiese presso cui lavorano con sacrificio e generosità; ma dobbiamo avere anche la consapevolezza che per la nostra Chiesa diocesana c’è un ritorno di grazia, di testimonianza concreta delle persone e di apertura missionaria che garantisce uno scambio vitale tra Chiese.
Questa è la vera comunione tra le Chiese.
CARISSIMI AMICI E FEDELI DEL
SANTUARIO DEL SACRO CUORE
con la prima domenica del mese di dicembre diamo inizio al tempo liturgico dell’Avvento, tempo favorevole di grazia che ci aiuta a vivere la dimensione dell’attesa piena di speranza così da giungere al Natale aprendoci allo stupore, alla gioia e alla gratitudine verso Dio, nostro Redentore, il quale, assumendo la debolezza della carne, innalza la nostra umanità alla dignità divina.
Il tempo che stiamo vivendo però è ancora contrassegnato da tanta violenza, in particolare da troppi focolai di conflitti bellici che sembrano comporre quella che Papa Francesco definisce una «terza guerra mondiale a pezzi». L’odio sembra più forte dell’amore, il sopruso sembra più forte del rispetto, la morte sembra avere la meglio sulla vita. E quindi che fare? Come possiamo essere strumenti di pace? Occorre partire dalla nostra quotidianità. Si diventa costruttori di pace se nel nostro piccolo ognuno di noi riscopre i gesti più semplici: la cura del proprio linguaggio; il coraggio di saper dire “grazie”; la cura della vita altrui attraverso la solidarietà e la giustizia; la conoscenza e la promozione della difesa dei diritti umani; la partecipazione attiva alla vita della comunità civile ed ecclesiale; l’ascolto e il rispetto reciproco; l’attenzione ai più deboli e fragili; la responsabilità, la cura e il rispetto della natura. Insomma anche noi possiamo dare il meglio di noi!
È bello allora invocare Gesù come il Messia, attribuendogli uno dei titoli che suggerisce il profeta Isaia: «Principe della pace» (Is 9,5). Sia Lui la nostra guida.
Mi hanno colpito molto le parole del cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini e che credo dobbiamo fare nostre: «Avere il coraggio dell’amore e della pace qui, oggi, significa non permettere che odio, vendetta, rabbia e dolore occupino tutto lo spazio del nostro cuore, dei nostri discorsi, del nostro pensare. Significa impegnarsi personalmente per la giustizia, essere capaci di affermare e denunciare la verità dolorosa delle ingiustizie e del male che ci circonda, senza però che questo inquini le nostre relazioni. Significa impegnarsi, essere convinti che valga ancora la pena di fare tutto il possibile per la pace, la giustizia, l’uguaglianza e la riconciliazione. Il nostro parlare non deve essere pieno di morte e porte chiuse. Al contrario, le nostre parole devono essere creative, dare vita, creare prospettive, aprire orizzonti. Ci vuole coraggio per essere capaci di chiedere giustizia senza spargere odio. Ci vuole coraggio per domandare misericordia, rifiutare l’oppressione, promuovere uguaglianza senza pretendere l’uniformità, mantenendosi liberi».
Chiediamo al Signore, in questo nuovo anno liturgico, di guidarci nel cammino così da poter sentire nuovamente e fare nostre le parole degli angeli nella notte di Natale che annunciano la nascita di un Bambino che è portatore di «pace in terra, agli uomini amati dal Signore».
Buon cammino di Avvento e buon Natale a nome di tutta la nostra comunità religiosa.
don Francesco Sposato, rettore
CARISSIMI AMICI E FEDELI DEL SANTUARIO DEL SACRO CUORE
siamo giunti a novembre, mese dedicato particolarmente al ricordo dei nostri cari defunti. La Chiesa, fin dai primi tempi, ha coltivato con grande pietà la memoria dei defunti e ha offerto per loro i suoi suffragi. Ma commemorare i nostri fratelli e sorelle defunti ci porta anche a guardare ad una realtà che spesso allontaniamo dai nostri pensieri: la morte!
Certo pensare alla morte ci preoccupa, ci spaventa e rimane per l’uomo un mistero profondo, un mistero che anche i non credenti circondano di rispetto. Esiste però una pagina evangelica che ci suggerisce in che modo deve trovarci la morte (cfr. Lc 12,39-48) per cui occorre tenersi pronti «perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». La morte ci deve trovare “vivi”; infatti è «beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro. In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi averi». Essere vivi quando arriva la morte può sembrare banale come risposta, ma non lo è per nulla. Troppo spesso infatti viviamo e agiamo come se non dovessimo mai morire e mai rendere conto delle nostre azioni, e così spadroneggiamo e facciamo del male pensando di farla sempre franca, ma non è così. Si può non avere fede, ma la morte è un fatto e riguarda tutti. Non viviamo su questa terra per l’eternità. Il solo pensiero dovrebbe un po’ ridimensionarci tutti, e se si ha la fede dovrebbe illuminarci e farci fare scelte diverse e migliori.
La morte per il cristiano, poi, si colloca nel solco della morte e resurrezione di Cristo, il che vuol dire dare spazio alla speranza perché la morte non ha l’ultima parola sull’uomo. «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno» (Gv 11,25-26). La morte è sempre un incontro con il Signore della vita: è Lui che viene a prenderci per mano e portarci con sé per offrirci pienezza di vita. Ecco perché occorre prepararsi bene alla venuta del Signore. Solo con Lui e grazie a Lui potremmo abitare con speranza la nostra morte. Ce lo ricorda anche papa Francesco: «Gesù ci prenderà per mano e ci dirà, “vieni con me, alzati”, lì finirà la speranza e sarà la realtà della vita. Gesù prenderà ognuno di noi con la sua tenerezza, la sua mitezza, con tutto il suo cuore. Questa è la nostra speranza davanti alla morte. Per chi crede, è una porta che si spalanca completamente; per chi dubita, è uno spiraglio di luce che filtra da un uscio che non si è chiuso proprio del tutto. Ma per tutti noi sarà una grazia, quando questa luce ci illuminerà».
Chiediamo al Signore allora il dono gratuito della speranza, perché sarà l’àncora che dà un senso alla vita, alla nostra vita.
Vi giunga la benedizione del Signore e il saluto di tutta la nostra comunità religiosa.
don Francesco Sposato, rettore
Nel ricordo gioioso di San Luigi Guanella, riportiamo un brano dell’omelia della Messa di Canonizzazione, tenuta da Benedetto XVI domenica 23 ottobre 2011: «Vogliamo oggi lodare e ringraziare il Signore perché in san Luigi Guanella ci ha dato un profeta e un apostolo della carità. Nella sua testimonianza, così carica di umanità e di attenzione agli ultimi, riconosciamo un segno luminoso della presenza e dell’azione benefica di Dio […]. Tutta la sua vicenda umana e spirituale la possiamo sintetizzare nelle ultime parole che pronunciò sul letto di morte: “in caritate Christi”. È l’amore di Cristo che illumina la vita di ogni uomo, rivelando come nel dono di sé all’altro non si perde nulla, ma si realizza pienamente la nostra vera felicità. San Luigi Guanella ci ottenga di crescere nell’amicizia con il Signore per essere nel nostro tempo portatori della pienezza dell’amore di Dio, per promuovere la vita in ogni sua manifestazione e condizione, e far sì che la società umana diventi sempre più la famiglia dei figli di Dio».
IL ROSARIO
«Vi esortiamo caldamente che con ogni devozione, pietà e frequenza possibile che in questo anno, per tutto il mese [di ottobre], venga celebrato il Rosario»: con queste parole tratte dall’Enciclica Quamquam pluries, con la quale papa Leone XIII raccomandava il Rosario come mezzo efficace per implorare la protezione della Madonna e di San Giuseppe nelle difficoltà dei tempi, don Guanella nel 1889 presentava e pubblicava una breve guida alla recita. L’operetta, che potrebbe considerarsi un suo piccolo trattato su questa preghiera mariana, sarà ripresa nel 1932 da don Mazzucchi con una seconda edizione intitolata Mezz’ora di buona preghiera in unione con il Papa recitando il Santo Rosario.
Per don Guanella «il Rosario è per eccellenza la preghiera del cristiano, la devozione dei popoli, l’arma di salute della Chiesa […] devozione vecchia eppur sempre nuova e cara ai cuori fedeli».
È singolare l’interpretazione che ne offre «Nel Rosario si recitano per cinque volte dieci Ave, Maria, in onore ai 10 Comandamenti della legge di Dio, ai 10 candelabri d’oro, alle 10 mense, alle 10 cortine che c’erano nell’altare santo, nonché alle 10 corde del salterio davidico ed ai 10 lebbrosi mondati. E il numero 5 allude alle 5 colonne del tabernacolo, alle 5 monete di redenzione dei primogeniti, alle 5 città di rifugio, ai 5 pani moltiplicati, ai 5 talenti da trafficare, e via dicendo. Si ripetono poi tre volte le cinquanta salutazioni angeliche per ricordare il ritorno del giubileo santo per cui l’uomo si affretta più di cuore a Dio e i cuori delle creature, più vivamente congiungendosi fra loro, si congiungono al Creatore e Signore supremo». È certamente fuori dalla nostra mentalità liturgica odierna il suo invito: «Giova altresì in tempo della santa Messa valersi della lezione di un libro pio, ovvero del sacramentale di un rosario benedetto, per dire cento cinquanta volte almeno: Gesù, Signore e Padre mio, pietà di me! Cara Madre, Vergine Maria, fate ch’io salvi l’anima mia!».
È però sempre attuale il richiamo: «Quanto all’efficacia, ciò che in qualche modo giova come la meditazione è recitare adagio adagio un mistero del sacro rosario… domandando nel medesimo tempo la grazia di correggersi di quel difetto in particolare più grave che è in voi».
Poco o tanto della Giornata Mondiale della Gioventù ne abbiamo sentito parlare.
La cosa ci ha toccato? Ci siamo interessati? Ne abbiamo colto il senso? Eppure è stato un fenomeno certamente originale, straordinario, una esperienza a cui hanno partecipato giovani da tutto il mondo (un milione e 500 mila).
Questi giovani si sono mossi per condividere: che cosa?
Ascoltando le loro testimonianze si rileva un fatto comune a tutti: hanno risposto ad un Dio che ama. Si sono sentiti riferimento del suo amore, scopo di una azione amorosa di Dio sulle loro persone, hanno potuto fruire della sensibilità dello stile di Dio.
Inoltre tale esperienza in quei giorni è diventata esperienza condivisa: c’era la gioia dello stare insieme, dell’avere le stesse sensazioni, del riconoscersi tutti figli di un Dio che è Padre.
Così nel giovani nasce, è nato il desiderio di ascoltare… la vita, la Parola, gli altri. È la gioia di far brillare le proprie persone, renderle splendenti ed appetibili. È la possibilità di offrire se stessi con coraggio e senza paure per il bene degli altri.
La nostra Chiesa diocesana è rinfrancata nella sua speranza da questa esperienza giovanile. Forse il nostro cammino di fede si fa più spedito con la presenza e la testimonianza di questi giovani nelle nostre comunità parrocchiali. Anche questo è tempo di Grazia.
CARISSIMI AMICI E FEDELI DEL SANTUARIO DEL SACRO CUORE
il mese di ottobre per tutta la famiglia guanelliana rappresenta un mese altamente significativo per il fatto che il 24 ottobre ricorre la memoria liturgica del nostro Santo Fondatore, don Luigi Guanella, le cui spoglie mortali conserviamo nel nostro Santuario. Non ci stancheremo mai di rendere grazie a Dio per il dono di don Guanella che ha vissuto accanto agli ultimi, animato da un profondo amore cristiano per i più poveri e per i più deboli. Facciamoci suoi imitatori per essere anche noi segni credibili di carità con l’intento, come soleva dire lo stesso don Guanella, «di far un po’ di bene e il miglior bene possibile».
Ma il mese di ottobre è anche per la Chiesa universale un tempo importante perché il 4 ottobre si aprirà in Vaticano la XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Con questa convocazione, papa Francesco desidera invitare la Chiesa intera a interrogarsi su un tema decisivo per la sua vita e la sua missione: come realizzare oggi, a diversi livelli (da quello locale a quello universale) quel “camminare insieme” che le permette di annunciare il Vangelo, conformemente alla missione che le è stata affidata? E ancora: quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere come Chiesa sinodale? “Camminare insieme” non è semplicemente uno slogan o una semplice strategia di amministrazione interna, ma il modo di essere e di agire della Chiesa stessa in quanto Popolo di Dio, il quale manifesta e realizza il suo essere “comunione” proprio nel camminare insieme. Tante allora sono le sfide da affrontare, ma non possiamo farlo se non ci lasciamo educare dallo Spirito entrando con coraggio e libertà di cuore in un processo di conversione senza la quale non sarà possibile un autentico cambiamento. Ma cambiare non è mai facile! Ecco perché sarà importante lasciare spazio alla preghiera invocando il dono dello Spirito Santo sui padri sinodali perché li possa aiutare a disporre il proprio cuore all’ascolto e al discernimento della sua azione, che tutto crea e tutto rinnova.
Non perdiamo altro tempo allora e mettiamoci in ginocchio invocando dal Signore la grazia necessaria affinché i lavori sinodali possano approdare a riscoprire al fondo di ogni diversità di pensiero quel fiume comune di verità e comunione che ci tengono insieme: l’amore di Gesù Cristo nostro Salvatore!
A tutti giunga la benedizione del Signore e il saluto di tutta la nostra comunità religiosa.
don Francesco Sposato, rettore
È stata l’occasione non solo per fare un “tuffo” nel passato fatto di ricordi e di memorie, ma anche per condividere la gioia dello stare insieme e la volontà di continuare a seminare il bene!
In mattinata in Santuario celebrazione della S. Messa presieduta da don Francesco Sposato superiore della comunità e rettore del Santuario. Dopo una breve visita guidata al Santuario hanno ascoltato la conferenza nel reparto Cantieri di Betania a cura di don Attilio Mazzola sul tema “Como per don Guanella: rapporto con la chiesa locale”. Nel pomeriggio visita al museo di don Guanella. Non poteva mancare infine anche la condivisione della preghiera e dei pasti con la comunità religiosa
Si tratta di Iosif Barticel e Andrei Ghergut. Ha presieduto la celebrazione don Fabio Pallotta superiore della Delegazione Europea San Luigi Guanella. Ai due giovani confratelli guanelliani rumeni assicuriamo la nostra preghiera. Possano essere testimoni credibili di carità secondo lo spirito di San Luigi Guanella. Tantissimi auguri!