Per la Famiglia Guanelliana il 26 maggio, giorno in cui don Guanella nel 1866 ricevette l’Ordinazione sacerdotale nella cappella dell’episcopio di Como, da alcuni anni si celebra la Giornata dei Seminari Guanelliani.

Oltre al Seminario Teologico internazionale “Monsignor Bacciarini” a Roma, se ne contano altri nelle diverse nazioni, comprendendo anche le case di Noviziato e, in qualche caso, anche quelle propriamente dedicate all’accoglienza degli aspiranti, un tempo chiamati Seminari minori. Don Guanella ha lasciato un ricordo sereno degli anni da lui trascorsi nei Seminari di Como. Nei suoi ricordi si ritrovano gli stessi tratti che ogni sacerdote potrebbe fare suoi, ricordando gli anni di Seminario.

Anzitutto l’ammirazione per alcuni insegnanti che, ciascuno con la propria caratteristica, hanno lasciato traccia nella sua formazione. Ricorda ad esempio don Martino Anzi e don Serafino Balestra, illustre botanico il primo, apostolo dei sordomuti il secondo.

Poi la gioia, quasi goliardica, di giovani tesi ad un ideale: «le soddisfazioni nei compagni sinceri, nei compagni ameni i quali sanno condire anche per un’ora di ricreazione serale una comunità che accorre come ad un vero divertimento teatrale». Questi momenti compensavano un po’ i sacrifici che, comunque, non mancavano: «In seminario costa la disciplina della regola, il peso dello studio. Anche i superiori e i compagni sono in mano a Dio strumento di sacrificio e quindi di perfezionamento». Altri momenti sereni erano quelli dello spirito: «Lo spirito gode assai in epoca degli spirituali Esercizii, delle feste e novene principali dell’anno». E, quasi ciliegina sulla torta, «Intensivi gli ultimi mesi dell’anno per gli esami. Allora non si misurano ore di studio. Si fanno anche speciali divozioni perché l’esame finale riesca a felice esito».

Cambiati i tempi? Sì, ma questi momenti si vivono ancora nei nostri Seminari e alimentano i ricordi di tanti confratelli: sono trascorsi più di centosessant’anni anni da allora e numerosi hanno seguito le tracce del Fondatore nel sacerdozio. Per tutti quella è stata la «santissima e gloriosa giornata la più bella della vita mia, giorno cui riandando nella mente negli anni avvenire io dovrei dimenticare qualunque affanno per balzare di gioia e di gratitudine».

Anche se un proprio e vero Seminario si ebbe dopo la sua morte, acquistando anche con gli spiccioli trovati nel suo borsellino il “castello” di Fara Novarese, sempre però raccomandava ai suoi benefattori i chierici che studiavano nelle sue Case o in alcuni Seminari diocesani, benevolmente accolti dai Vescovi.

Oggi, nella scarsità di vocazioni sacerdotali e religiose che investe anche le Congregazioni guanelliane, è importante che tutti si sentano coinvolti nel chiedere il dono di apostoli della carità nella vita consacrata della nostra Congregazione e anche a contribuire con la propria beneficenza al sostentamento delle Case di formazione.

Lunedì 21 aprile 2025 papa Francesco è tornato alla Casa del Padre.

Caro Francesco, ti ringraziamo per le tue parole e per il tuo buon esempio. Ti ringraziamo per quello che ci hai insegnato con la tua vita, fino alla fine, con il coraggio di affrontare la sofferenza e la malattia con fede e pazienza. Il tuo papato ci ha dimostrato come abbattere, fin dalle prime battute, le barriere del formalismo e dell’etichetta, abbracciando un atteggiamento di vicinanza e prossimità. La stragrande maggioranza del popolo di Dio ti acclama e ti segue sulla via evangelica che hai abbracciato. Grazie per le tue parole all’Angelus del giorno di Pasqua: le prendiamo come il tuo testamento spirituale.

La Casa Divina Provvidenza

CARISSIMI AMICI E FEDELI DEL SANTUARIO DEL SACRO CUORE

Siamo a maggio, mese dedicato a Maria. Ce lo ricordano roseti, che non risparmiano di mostrarci tutta la varietà dei colori delle rose. Ne sono testimonianza tutte le feste mariane di questo mese: la Madonna di Pompei (l’8 maggio), la Madonna di Fatima (il 13), Maria Ausiliatrice (il 24), la Visitazione (il 31). Il Santo Rosario diventa impegno giornaliero anche per coloro che non lo recitano con regolarità.

Don Guanella ci esorta a pregare il Santo Rosario e a rivolgerci alla Madonna come un figlio alla mamma: «Somigliante deve essere il pensiero e l’affetto nostro a Maria. Di questa madre e vergine incomparabile imitiamo le doti di divino privilegio, consideriamo le virtù che l’hanno sublimata tant’alto. Ma sovrattutto consideriamo l’immenso affetto che ella ci porta, nonché i benefici innumerabili che ci arreca». È l’amore che la «rende in eterno beata» (Nel mese dei fiori). «D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata», canta Maria. Cosa significa chiamare beata Maria, l’umile vergine? Non significa altro che essere pieni di ammirazione e adorare la meraviglia che Dio ha operato in lei, leggere in lei che Dio guarda all’umiltà e la innalza, che la venuta di Dio in questo mondo non cerca le altezze ma le profondità, che la gloria di Dio consiste nel rendere grande ciò che è piccolo. Chiamare beata Maria significa, insieme a lei, meditare con ammirazione sulle vie di Dio, che lascia soffiare il suo Spirito dove vuole, obbedirgli e dire umilmente con Maria: «Come hai detto, così sia» (Dietrich Bonhoeffer).

Quando gli ebrei celebravano l’anno giubilare ogni cinquantesimo anno, si supponeva che gli schiavi venissero liberati e le terre alienate a causa dei debiti venissero restituite al proprietario originario. L’idea era quella di consentire un inizio radicalmente nuovo, nel rispetto dei diritti e della dignità umana. Era un tentativo di realizzare una distribuzione più equa dei beni all’interno del popolo di Dio. L’Anno Santo che stiamo vivendo trae ispirazione dall’Anno Giubilare ebraico. Per noi, quindi, l’anno giubilare è l’occasione di un nuovo inizio da compiere, come singoli e come comunità. È una opportunità che ci viene offerta per ripartire e ristabilire un equilibrio con la natura, con le persone e con Dio. Se non abbiamo ancora avuto occasione di vivere il Giubileo facciamolo con Maria. Incamminiamoci con Maria, pellegrina di speranza, e ripartiamo per una nuova riconciliazione.

don Nico Rutigliano, rettore

Cristo, nostra speranza, è risorto: questo gioioso annuncio ci deve rendere consapevoli che il peccato è stato sconfitto, il male ha perso il suo potere, l’amore divino ha vinto.
In questo Anno Giubilare siamo chiamati a rimettere al centro della nostra vita la speranza che non delude, quella che nasce dalla certezza che l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori (Rm 5,5). La speranza cristiana va oltre l’ottimismo perché non si fonda sul fragile auspicio: “andrà tutto bene!” Essa nasce piuttosto dalla memoria di ciò che Dio ha compiuto in noi, a cominciare dalla certezza che Egli ci ama per primo, è continuamente all’opera attraverso di noi, agisce dentro le nostre vite, nonostante la nostra debole umanità e gli ostacoli che spesso si insinuano.
Siamo amati, siamo perdonati, quindi rinasciamo a vita nuova. Il centro del cristianesimo consiste in ciò che Dio fa per noi, con il suo amore gratuito, e non ciò che noi facciamo per Lui.
Alla luce di queste certezze, la speranza cristiana diventa un obbligo, essa non può venire meno, fino a credere che per Dio anche l’impossibile può divenire possibile: “Nulla è impossibile a Dio”(cfr. Lc 1,37).
Impariamo a riconoscere i numerosi “segni di speranza” che giacciono attorno a noi, così da apprezzare innanzitutto i germogli di bene che intravvediamo sul terreno nel quale viviamo e
lavoriamo, con la stessa speranza abitata dal contadino. Mentre in un campo di aride zolle, infatti, l’occhio comune non percepisce nulla, lo sguardo dell’agricoltore riesce a intravvedere i germogli che tra poco nasceranno e non dubita che a suo tempo verranno i frutti. Il piccolo seme di bontà diventerà un albero rigoglioso, così che nulla delle energie che spendiamo si consumano invano. Sapremo così distinguere i pluriformi segni di bellezza che giacciono attorno a noi, nelle nostre famiglie, nelle nostre Comunità e nel mondo intero.
Oggi più che mai, soprattutto in un ambiente umano come il nostro, lacerato da guerre e discordie, sentiamo forte il bisogno di ritrovare un senso profondo per la nostra esistenza. Siamo pellegrini sulle strade del mondo, affamati di verità e desiderosi di risposte alle domande che le varie situazioni di vita pongono alla mente e al cuore. Ed è proprio il grande annuncio di Pasqua a rovesciare le pietre che ci tengono prigionieri nei sepolcri delle nostre cattive abitudini, dei nostri peccati, delle nostre solitudini e di tutto ciò che ci allontana da Dio e rende difficile metterci in relazione con i nostri fratelli.
Cristo, nostra speranza, è risorto, le porte della Santissima Trinità misericordia si sono spalancate sul mondo intero ed attendono di poter ridonare vita agli smarriti, forza agli sfiduciati, conforto ai sofferenti. La Pasqua è il passaggio di Cristo dalla morte alla vita, passiamo quindi dal peccato alla vita nuova, dal rancore al perdono, dalla disperazione alla consolazione. A tutti auguro di poter sperimentare la presenza viva del Signore Gesù datore di ogni dono, la cui vicinanza fa ardere il cuore e ridona forza e coraggio. Nessuno rinunci alla speranza che Cristo ci ha promesso!

Buona Pasqua a tutti!

Oscar card. Cantoni

È online il primo numero del 2025 de La Divina Provvidenza (una voce della carità), periodico trimestrale fondato da San Luigi Guanella.

LEGGI LA DIVINA PROVVIDENZA

“Disponiamoci al trionfo di Gesù che nella Pasqua risorge trionfante” (San Luigi Guanella)

𝗖𝗮𝗿𝗼 𝗙𝗿𝗮𝗻𝗰𝗲𝘀𝗰𝗼 ti ringraziamo per le tue parole e per il tuo buon esempio. Ti ringraziamo per quello che ci hai insegnato con la tua vita, fino alla fine, con il coraggio di affrontare la sofferenza e la malattia con fede e pazienza. Il tuo papato ci ha dimostrato come abbattere, fin dalle prime battute, le barriere del formalismo e dell’etichetta, abbracciando un atteggiamento di vicinanza e prossimità. La stragrande maggioranza del popolo di Dio ti acclama e ti segue sulla via evangelica che hai abbracciato. Grazie per le tue parole all’Angelus di ieri, Pasqua del Signore: le prendiamo come il tuo testamento spirituale.
𝘾𝙖𝙨𝙖 𝘿𝙞𝙫𝙞𝙣𝙖 𝙋𝙧𝙤𝙫𝙫𝙞𝙙𝙚𝙣𝙯𝙖 𝙚 𝙙𝙤𝙣 𝙉𝙞𝙘𝙤
Scrive don Domenico Scibetta, iniziatore della Discoteca del Silenzio: “Erano le 21:45 di 20 anni fa (2 aprile 2005). Era il primo sabato del mese, dedicato alla Divina Misericordia. La S. Messa, che apriva la Discoteca del Silenzio di quella sera, era da poco terminata quando, dall’ambone, venne data notizia che Giovanni Paolo II era tornato al Padre.
Chi c’era ricorda come la commozione, la mestizia e il pianto invasero gli animi dei presenti nel Santuario del S. Cuore quella sera. Ma poi, una grande carica interiore riscaldò il nostro cuore, tramutandosi in una preghiera – alternata a ritornelli cantati e silenzio adorante – ancor più fervida e sentita.
Da lui ricevemmo il mandato di mettere l’Eucaristia al centro, e fu sempre lui a citare la Discoteca del Silenzio in un suo messaggio autografato, che ancora si custodisce, confermandone il valore come iniziativa e luogo privilegiato per giovani e simpatizzanti guanelliani nel nostro stare “cuore a cuore” con Gesù.
Sia lui, dal Cielo, a sostenere e alimentare il nostro amore per l’Eucaristia; sia lui a ispirarci il coraggio di far partire, dall’Eucaristia adorata, quella vissuta, in un servizio di Carità “senza misura”.
𝗦𝗔𝗡 𝗚𝗜𝗢𝗩𝗔𝗡𝗡𝗜 𝗣𝗔𝗢𝗟𝗢 𝗜𝗜, 𝗽𝗿𝗲𝗴𝗮 𝗽𝗲𝗿 𝗻𝗼𝗶!!!”

La sera del 5 aprile 1886, dal molo di Pianello del Lario, partirono su una barchetta due suore con alcune orfanelle e poche suppellettili. Arrivarono a Como la mattina del giorno seguente, per dare inizio alla “Piccola Casa della Divina Provvidenza”, conosciuta oggi come Casa Divina Provvidenza.

«In una serata dell’aprile 1886 si presentarono alla riva del lago due suore, […] con alcune orfanelle, e là pronta era una barchetta con quattro letti e poche masserizie. Il nostro padre Mario Bosatta, che non ne sapeva nulla, vedendo esclamò: “Ho capito… Ecco lo sciame che si stacca dall’alveare…”. Intanto il piccolo convoglio vogò per tutta notte alla volta di Como. E si rinchiuse nella casa Biffi affittata in via Tomaso Grossi. Colà il piccolo sciame, colla preghiera, col lavoro, nella confidenza in Dio, lavorava, aspettava l’aiuto della divina provvidenza»

Sono numerose le parrocchie che al sopraggiungere della Pasqua celebrano le prime Comunioni. La prassi pastorale attuale differenzia da quella in uso ai tempi di don Guanella, tuttavia possono utilmente essere presi ancora in considerazione alcuni valori da lui richiamati, ricordando i «momenti dolcissimi» che visse in quel Giovedì Santo 8 aprile 1852, giorno del suo primo incontro con Gesù nell’Eucaristia.

Nell’operetta Cinquanta Ricordini delle Sante Missioni, contrastando le abitudini del suo tempo, ricorda ai genitori l’importanza di far ricevere in età ancora verde questo Sacramento: «Non è giusto si ritardi oltre agli otto, ai dieci, ai dodici anni tal gioia celeste» perché sarebbe triste se il peccato grave prendesse posto prima di Gesù nel loro cuore. Resta poi a loro l’impegno di vigilare sulla condotta dei figli perché possano accostarsi frequentemente al banchetto eucaristico. Questa operetta è del 1887: l’8 agosto 1910 San Pio X proporrà queste linee a tutta la Chiesa con il decreto Quam singulari Christus amore.

A chi è impegnato nella catechesi offre l’esempio di suor Chiara Bosatta che «raccoglie quelle animuccie, le guarda con grand’occhio di fede e le raccomanda a Dio: misura i loro passi, le accompagna fino al gran giorno». Sottolinea che la Comunione ricevuta spesso fa progredire nella comprensione del Mistero ed è difesa e speranza per il futuro: «Il giorno della prima Comunione è un riparo al passato, una gioia per il presente e per l’avvenire, è un godimento altissimo, una caparra di fiducia».