OPERE EDITE ED INEDITE DI LUIGI GUANELLA – VOLUME V

Il volume conclude l’impresa editoriale delle «Opere edite ed inedite di Luigi Guanella» pubblicando 557 testi, dei quali 511 usciti dal 1892 al 1915 su «La Divina Provvidenza». il mensile fondato da Luigi Guanella, e i restanti 46 da fonti diverse (altri periodici, numeri unici, stampe d’occasione, presentazioni di pubblicazioni). Circa la metà sono firmati e oltre un quarto furono presentati nel 1935 al processo canonico di beatificazione; i restanti sono attribuiti sulla base di elementi contestuali o risultanze archivistiche. Gli Scritti pubblicistici documentano da vicino l’ultima fase biografica di Luigi Guanella (1842-1915), quel ventennio abbondante durante il quale ha conquistato la santità, la fama di «santo della carità» che lo contraddistingue. Questo volume illumina e rivela tanti aspetti di storia guanelliana, ma soprattutto permette di osservarla con gli occhi stessi del suo artefice e protagonista, quasi di partecipare con lui al dispiegarsi degli eventi. Le decisioni e convinzioni dell’uomo, i suoi giudizi e pensieri ci vengono restituiti con un’immediatezza che sembra sgorgare dalle pagine di un diario.

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Carissimi amici e amiche della Casa Divina Provvidenza,
nel vangelo del giorno di Pasqua (Gv 20,1-9) assistiamo alla corsa al sepolcro di due discepoli, Pietro e Giovanni sollecitati da Maria di Magdala, la quale, vedendo il sepolcro vuoto, istintivamente è portata a gridare al furto del corpo di Gesù. Tutti e tre (Maria di Magdala, Pietro e Giovanni) vedono la pietra ribaltata del sepolcro, vedono i “teli piegati in un luogo a parte”, ma solo di uno di loro si dice che “vide e credette”!

E’ il “vedere” segnato dalla fede che rende la vista capace di andare oltre le cose apparenti e materiali perché guidati dall’amore, dalla fiducia, dalla disponibilità ad andare in profondità, a riconoscere nell’evento la presenza reale di Cristo risorto! Questo “vedere” penetra la realtà e ci svela il cuore delle cose.
In questi giorni pasquali auguro a tutti voi di poter “vedere” con il dono della fede la bellezza della luce di Cristo risorto così da rendere visibile nella vostra vita quell’amore che non ci lascia sulla soglia della superficialità; quell’amore che nonostante la nostra mediocrità continua a risplendere nei nostri cuori; quell’amore che ci darà occhi nuovi per guardare gli altri e le cose che ci circondano come segno visibile della sua presenza in mezzo a noi!
A nome mio e dei confratelli della nostra comunità religiosa gli auguri di Buona Pasqua!

don Francesco Sposato,
superiore della comunità religiosa

CARISSIMI AMICI E FEDELI DEL SANTUARIO DEL SACRO CUORE

il tempo di Quaresima che stiamo vivendo è sicuramente un tempo per cercare la verità del nostro io, senza trucchi e senza recite, per cui ci sarà bisogno di un serio impegno di conversione che non può essere più rimandabile.

«Convertitevi e credete nel Vangelo»: sono queste le parole pronunciate da Gesù che non ammettono da parte nostra risposte mediocri o superficiali se vogliamo realmente ritornare a Dio scendendo, come ci ha suggerito Papa Francesco, «dal palcoscenico della finzione».

Convertirsi significa vivere sapendo che il meglio è ora davanti ai nostri occhi e, se anche facciamo fatica a riconoscerlo, la nostra fede ci dice che esiste ed è reale, per cui il tempo della conversione, prima di essere il tempo delle nostre decisioni di cambiamento, è il tempo di affidarsi alla misericordia di Dio. Ogni vera conversione nasce quando si fa l’esperienza di sentirsi amati da un Dio che, nonostante le nostre debolezze e fragilità, continua a spalancare le sue braccia per noi peccatori, donandoci la grazia del perdono, migliore forza sanante e purificante per il nostro cuore.

Papa Francesco nella sua omelia del Mercoledì delle Ceneri ci ha invitato a chiederci: «dove mi porta il navigatore della mia vita, verso Dio o verso il mio io? Vivo per piacere al Signore, o per essere notato, lodato, preferito, al primo posto e così via? Ho un cuore “ballerino”, che fa un passo avanti e uno indietro, ama un po’ il Signore e un po’ il mondo, oppure un cuore saldo in Dio? Sto bene con le mie ipocrisie, o lotto per liberare il cuore dalle doppiezze e dalle falsità che lo incatenano?». Liberiamo il nostro cuore da tutto ciò che impedisce a Dio di abitarci perché il nostro Dio non è un Dio che chiede, che ordina, che minaccia, ma un Dio che viene a noi a mani piene per darci tutto. Non sarà facile, ma affidandoci alla provvidente misericordia di Dio, si può anche ribaltare un pronostico non sempre favorevole per noi se ci fermiamo unicamente a contare sulle nostre forze. Il viaggio è iniziato, l’equipaggiamento dell’ “elemosina, preghiera e digiuno” ci è stato consegnato, la strada è stata indicata: a noi il compito di camminare con decisione verso la Pasqua, sicuri che quel giorno sarà vissuto con un cuore sicuramente rinnovato e pieno di gioia.

Buon cammino di conversione!

don Francesco Sposato, rettore

Martedì 19 dicembre la famiglia Guanelliana festeggia il centottantunesimo “compleanno” del suo fondatore, San Luigi Guanella: egli infatti era nato a Fraciscio di Campodolcino alle ore 23 del 19 dicembre 1842. Per ricordare questo avvenimento, alle ore 15.00 si terrà la tradizionale S. Messa Intercontinentale celebrata contemporaneamente in tutte le Case guanelliane sparse nel mondo. È un momento di intensa spiritualità nel ricordo del Fondatore e di grande comunione con l’intera famiglia guanelliana.

Nell’operetta catechistica Andiamo al Paradiso don Guanella presenta l’Avvento, periodo liturgico che precede le feste di Natale, come tempo da trascorrere «in gaudio spirituale, attendendo l’anniversaria ricorrenza della nascita di Gesù salvatore in Betlemme nella grotta».

È la Chiesa «madre amante che attende lo Sposo» a guidarci in questo cammino e che si aspetta da parte nostra che rispondiamo al suo affetto con un comportamento devoto.

L’Avvento non è la Quaresima e pertanto non siamo spinti a severe rinunce: «godine pure in cuor tuo che la Chiesa non te ne distoglie», siamo però invitati a mantenere uno stile di vita sobrio: «non disturbare con clamori di allegrezza vana il raccoglimento di tua Madre».

Il cammino è segnato dalla liturgia: «il sacerdote e l’altare sono scuola di virtù. Ammaestrano continuamente». In altre parole siamo esortati all’ascolto della Parola di Dio e alla pratica dei Sacramenti, perché dopo la morte dell’ultimo Apostolo, San Giovanni, «la Chiesa ci ammaestra con la liturgia sacra».

Il desiderio di incontrare Gesù nel Natale si acuisce vivendo l’Avvento come una grande vigilia: «Nelle vigilie noi veniamo dinanzi a Dio desiderosi di unirci a lui, come il figlio che, sapendo dell’arrivo dei genitori diletti, esca loro incontro con tripudio, movendo frettolosi i passi e battendo le mani».

L’Avvento ci ricorda però anche che «portare Dio nella lingua con belle parole, portarlo nel cuore con buoni affetti, non è il tutto»: occorre disporsi a «portarlo, come Simeone, tra le braccia colle opere».

Uno degli aspetti indicativi della vitalità della nostra Chiesa diocesana è l’attenzione alla dimensione missionaria.

Siamo chiesa in uscita anche sotto questo profilo. Negli anni passati i nostri preti ed i nostri laici erano presenti in Cameroun. Oggi siamo attivi nella attività pastorale in Perù ed in Mozambico. Per la nostra Diocesi questo servizio è un impegno rilevante per il dono delle persone, per le risorse profuse, per la molteplicità degli impegni richiesti.

Infatti l’invio dei Fidei donum (sono così chiamati gli inviati da una Diocesi per collaborare con un’altra Diocesi in terra di missione) richiede da parte delle persone una seria preparazione innanzitutto spirituale, ma anche una conoscenza della cultura del popolo presso cui si lavora; un adeguato inserimento nel nuovo contesto pastorale; la frequentazione di corsi preparatori all’esperienza comprensivi di studio della lingua; la conoscenza e l’osservanza di tutte le normative per l’inserimento in un nuovo Stato… Insomma l’invio di un missionario è fatto con serietà sotto tanti profili.

Infine non bisogna dimenticare anche l’impegno economico per la nostra Diocesi per sostenere le attività pastorali presso questi popoli poveri.

L’impegno di questi Fidei donum è di profitto per le Chiese presso cui lavorano con sacrificio e generosità; ma dobbiamo avere anche la consapevolezza che per la nostra Chiesa diocesana c’è un ritorno di grazia, di testimonianza concreta delle persone e di apertura missionaria che garantisce uno scambio vitale tra Chiese.

Questa è la vera comunione tra le Chiese.

CARISSIMI AMICI E FEDELI DEL

SANTUARIO DEL SACRO CUORE

con la prima domenica del mese di dicembre diamo inizio al tempo liturgico dell’Avvento, tempo favorevole di grazia che ci aiuta a vivere la dimensione dell’attesa piena di speranza così da giungere al Natale aprendoci allo stupore, alla gioia e alla gratitudine verso Dio, nostro Redentore, il quale, assumendo la debolezza della carne, innalza la nostra umanità alla dignità divina.

Il tempo che stiamo vivendo però è ancora contrassegnato da tanta violenza, in particolare da troppi focolai di conflitti bellici che sembrano comporre quella che Papa Francesco definisce una «terza guerra mondiale a pezzi». L’odio sembra più forte dell’amore, il sopruso sembra più forte del rispetto, la morte sembra avere la meglio sulla vita. E quindi che fare? Come possiamo essere strumenti di pace? Occorre partire dalla nostra quotidianità. Si diventa costruttori di pace se nel nostro piccolo ognuno di noi riscopre i gesti più semplici: la cura del proprio linguaggio; il coraggio di saper dire “grazie”; la cura della vita altrui attraverso la solidarietà e la giustizia; la conoscenza e la promozione della difesa dei diritti umani; la partecipazione attiva alla vita della comunità civile ed ecclesiale; l’ascolto e il rispetto reciproco; l’attenzione ai più deboli e fragili; la responsabilità, la cura e il rispetto della natura. Insomma anche noi possiamo dare il meglio di noi!

È bello allora invocare Gesù come il Messia, attribuendogli uno dei titoli che suggerisce il profeta Isaia: «Principe della pace» (Is 9,5). Sia Lui la nostra guida.

Mi hanno colpito molto le parole del cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini e che credo dobbiamo fare nostre: «Avere il coraggio dell’amore e della pace qui, oggi, significa non permettere che odio, vendetta, rabbia e dolore occupino tutto lo spazio del nostro cuore, dei nostri discorsi, del nostro pensare. Significa impegnarsi personalmente per la giustizia, essere capaci di affermare e denunciare la verità dolorosa delle ingiustizie e del male che ci circonda, senza però che questo inquini le nostre relazioni. Significa impegnarsi, essere convinti che valga ancora la pena di fare tutto il possibile per la pace, la giustizia, l’uguaglianza e la riconciliazione. Il nostro parlare non deve essere pieno di morte e porte chiuse. Al contrario, le nostre parole devono essere creative, dare vita, creare prospettive, aprire orizzonti. Ci vuole coraggio per essere capaci di chiedere giustizia senza spargere odio. Ci vuole coraggio per domandare misericordia, rifiutare l’oppressione, promuovere uguaglianza senza pretendere l’uniformità, mantenendosi liberi».

Chiediamo al Signore, in questo nuovo anno liturgico, di guidarci nel cammino così da poter sentire nuovamente e fare nostre le parole degli angeli nella notte di Natale che annunciano la nascita di un Bambino che è portatore di «pace in terra, agli uomini amati dal Signore».

Buon cammino di Avvento e buon Natale a nome di tutta la nostra comunità religiosa.

don Francesco Sposato, rettore

CARISSIMI AMICI E FEDELI DEL SANTUARIO DEL SACRO CUORE

siamo giunti a novembre, mese dedicato particolarmente al ricordo dei nostri cari defunti. La Chiesa, fin dai primi tempi, ha coltivato con grande pietà la memoria dei defunti e ha offerto per loro i suoi suffragi. Ma commemorare i nostri fratelli e sorelle defunti ci porta anche a guardare ad una realtà che spesso allontaniamo dai nostri pensieri: la morte!

Certo pensare alla morte ci preoccupa, ci spaventa e rimane per l’uomo un mistero profondo, un mistero che anche i non credenti circondano di rispetto. Esiste però una pagina evangelica che ci suggerisce in che modo deve trovarci la morte (cfr. Lc 12,39-48) per cui occorre tenersi pronti «perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». La morte ci deve trovare “vivi”; infatti è «beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro. In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi averi». Essere vivi quando arriva la morte può sembrare banale come risposta, ma non lo è per nulla. Troppo spesso infatti viviamo e agiamo come se non dovessimo mai morire e mai rendere conto delle nostre azioni, e così spadroneggiamo e facciamo del male pensando di farla sempre franca, ma non è così. Si può non avere fede, ma la morte è un fatto e riguarda tutti. Non viviamo su questa terra per l’eternità. Il solo pensiero dovrebbe un po’ ridimensionarci tutti, e se si ha la fede dovrebbe illuminarci e farci fare scelte diverse e migliori.

La morte per il cristiano, poi, si colloca nel solco della morte e resurrezione di Cristo, il che vuol dire dare spazio alla speranza perché la morte non ha l’ultima parola sull’uomo. «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno» (Gv 11,25-26). La morte è sempre un incontro con il Signore della vita: è Lui che viene a prenderci per mano e portarci con sé per offrirci pienezza di vita. Ecco perché occorre prepararsi bene alla venuta del Signore. Solo con Lui e grazie a Lui potremmo abitare con speranza la nostra morte. Ce lo ricorda anche papa Francesco: «Gesù ci prenderà per mano e ci dirà, “vieni con me, alzati”, lì finirà la speranza e sarà la realtà della vita. Gesù prenderà ognuno di noi con la sua tenerezza, la sua mitezza, con tutto il suo cuore. Questa è la nostra speranza davanti alla morte. Per chi crede, è una porta che si spalanca completamente; per chi dubita, è uno spiraglio di luce che filtra da un uscio che non si è chiuso proprio del tutto. Ma per tutti noi sarà una grazia, quando questa luce ci illuminerà».

Chiediamo al Signore allora il dono gratuito della speranza, perché sarà l’àncora che dà un senso alla vita, alla nostra vita.

Vi giunga la benedizione del Signore e il saluto di tutta la nostra comunità religiosa.

don Francesco Sposato, rettore

Nel ricordo gioioso di San Luigi Guanella, riportiamo un brano dell’omelia della Messa di Canonizzazione, tenuta da Benedetto XVI domenica 23 ottobre 2011: «Vogliamo oggi lodare e ringraziare il Signore perché in san Luigi Guanella ci ha dato un profeta e un apostolo della carità. Nella sua testimonianza, così carica di umanità e di attenzione agli ultimi, riconosciamo un segno luminoso della presenza e dell’azione benefica di Dio […]. Tutta la sua vicenda umana e spirituale la possiamo sintetizzare nelle ultime parole che pronunciò sul letto di morte: “in caritate Christi”. È l’amore di Cristo che illumina la vita di ogni uomo, rivelando come nel dono di sé all’altro non si perde nulla, ma si realizza pienamente la nostra vera felicità. San Luigi Guanella ci ottenga di crescere nell’amicizia con il Signore per essere nel nostro tempo portatori della pienezza dell’amore di Dio, per promuovere la vita in ogni sua manifestazione e condizione, e far sì che la società umana diventi sempre più la famiglia dei figli di Dio».

IL ROSARIO

«Vi esortiamo caldamente che con ogni devozione, pietà e frequenza possibile che in questo anno, per tutto il mese [di ottobre], venga celebrato il Rosario»: con queste parole tratte dall’Enciclica Quamquam pluries, con la quale papa Leone XIII raccomandava il Rosario come mezzo efficace per implorare la protezione della Madonna e di San Giuseppe nelle difficoltà dei tempi, don Guanella nel 1889 presentava e pubblicava una breve guida alla recita. L’operetta, che potrebbe considerarsi un suo piccolo trattato su questa preghiera mariana, sarà ripresa nel 1932 da don Mazzucchi con una seconda edizione intitolata Mezz’ora di buona preghiera in unione con il Papa recitando il Santo Rosario.

Per don Guanella «il Rosario è per eccellenza la preghiera del cristiano, la devozione dei popoli, l’arma di salute della Chiesa […] devozione vecchia eppur sempre nuova e cara ai cuori fedeli».

È singolare l’interpretazione che ne offre «Nel Rosario si recitano per cinque volte dieci Ave, Maria, in onore ai 10 Comandamenti della legge di Dio, ai 10 candelabri d’oro, alle 10 mense, alle 10 cortine che c’erano nell’altare santo, nonché alle 10 corde del salterio davidico ed ai 10 lebbrosi mondati. E il numero 5 allude alle 5 colonne del tabernacolo, alle 5 monete di redenzione dei primogeniti, alle 5 città di rifugio, ai 5 pani moltiplicati, ai 5 talenti da trafficare, e via dicendo. Si ripetono poi tre volte le cinquanta salutazioni angeliche per ricordare il ritorno del giubileo santo per cui l’uomo si affretta più di cuore a Dio e i cuori delle creature, più vivamente congiungendosi fra loro, si congiungono al Creatore e Signore supremo». È certamente fuori dalla nostra mentalità liturgica odierna il suo invito: «Giova altresì in tempo della santa Messa valersi della lezione di un libro pio, ovvero del sacramentale di un rosario benedetto, per dire cento cinquanta volte almeno: Gesù, Signore e Padre mio, pietà di me! Cara Madre, Vergine Maria, fate ch’io salvi l’anima mia!».

È però sempre attuale il richiamo: «Quanto all’efficacia, ciò che in qualche modo giova come la meditazione è recitare adagio adagio un mistero del sacro rosario… domandando nel medesimo tempo la grazia di correggersi di quel difetto in particolare più grave che è in voi».